Psycho Monday

“Lumini?”
“Si?”
“Venga immediatamente nel mio ufficio.”
“Ok”
Riagganciai la cornetta del telefono e mi incamminai verso l’ufficio del Direttore.

Era Lunedì mattina; un altro inizio settimana in quel maledetto carcere con retribuzione oraria minima garantita. Timbri alle 9.00, tiri le 13.00; un’ora di pausa pranzo, alias ora d’aria. Rientri alle 14.00, timbri e tiri nuovamente fino alle 18.00 per riacquistare la libertà. Da lunedì al venerdì; per circa trentacinque anni della nostra vita. Malattia pagata, ferie pagate, festività pagate, tempo perso, quindi vita rubata.
Quel lunedì mattina la giornata non era partita bene. La sveglia delle sette non era suonata, così per rimediare ai venti minuti fuori orario, non avevo fatto colazione; di corsa in bici fino alla stazione. Pioveva, tanto per cambiare. Arrivato in stazione ero fradicio, ma almeno avevo trentacinque minuti di treno, più diciassette di metropolitana per asciugarmi le chiazze più evidenti.
Finalmente l’altoparlante annunciava che il mio treno stava per arrivare.

“ATTENZIONE, SI AVVISANO I SIGNORI VIAGGIATORI, CHE IL TRENO PER MILANO CENTRALE, VIAGGIA CON UN RITARDO DI CIRCA VENTINOVE MINUTI. CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO.”

Bene, avevo un’altra mezz’ora buona per asciugarmi. Per non fare un altro permesso di lavoro, avevo due alternative: la prima, era pranzare con un panino al prosciutto, di gomma, della macchinetta dell’ufficio davanti al computer; la seconda, era rimanere oltre le diciotto. A pensarci bene, un po’ di dieta non mi avrebbe fatto male.

Arrivai in ufficio con soli trentasei minuti di ritardo.

Timbri il tuo cartellino, saluti tutti con un sonoro buongiorno ed eviti la segretaria che assomiglia a un cassonetto dell’umido; se le schiacci i piedi, apre la bocca. Le do del Lei per tenerla ancora più lontana. Ogni mattina è vestita in maniera agghiacciante, probabilmente ha fatto un corso particolare per abbinare i colori in modo orribile, oppure litiga con l’armadio e lui ha sempre la meglio. Il periodo peggiore è l’estate; con la sua ascella pelosa il puzzo acre di sudore ti entra nelle narici e ci rimane per svariati ed interminabili minuti. Se fosse almeno simpatica le regalerei un deodorante. Probabilmente, nonostante i suoi cinquantacinque anni di età, ha le mestruazioni tutti i giorni.

Proseguo il corridoio che porta alla mia postazione di lavoro, dentro una cabina due metri per due in un openspace; l’unica luce è quella artificiale dei neon. Una meraviglia, se non fosse stato per il neon bruciato che creava effetto disco anni ottanta con tanto di ronzio di sottofondo. Riesco a malapena ad accendere il portatile che squilla il telefono; è il Direttore, vuole parlarmi.

Controllo che le chiazze più bagnate si siano asciugate, pulisco gli occhiali e ripercorro, al contrario, il corridoio. La segretaria marca già il territorio con i suoi odori. Arrivo all’ingresso, prendo le scale e vado al piano di sopra. Busso.

“Avanti” – risponde la voce sicura del Direttore.
“Buongiorno Direttore, voleva vedermi?”
“Certo che volevo vederla, altrimenti non l’avrei convocata qui, avremmo parlato al telefono. Non le pare?”
“Si ha ragione, mi scusi Direttore.”
“La scuso per il suo ritardo di stamane, non per le sue domande idiote.” – il suo tono è fermo e pieno di rabbia. Sono talmente imbarazzato, che non so dove guardare.
“Scusi ancora Direttore, ma sa il treno è…” – stavo cercando di giustificarmi, ma mi interruppe.
“Non sono problemi miei se i treni sono in ritardo. Ha due possibilità: la prima è che cambia compagnia di trasporti pubblici, la seconda è di venire in macchina. Vista la situazione dei nostri mezzi pubblici, le consiglio la seconda. Ma lei è così inetto che riuscirebbe ad arrivare tardi anche in macchina, se ne avesse una. Ne è ancora sprovvisto, vero?”
“Si Direttore, ho l’auto ferma dallo scorso anno, dopo l’incidente, ricorda?”
“Certo che lo ricordo Lumini, secondo lei sono così demente da dimenticarmi dei tre mesi che ha fatto a casa in malattia?”
“No Direttore”

Nel frattempo il nervoso stava aumentando

“Ecco, se vuole continuare a mantenere il posto, basta ritardi.” – mi disse picchiettando il suo indice ossuto sul polso vestito da un Rolex Daytona.
“Allora, Lumini, Giovedì le ho dato delle pratiche da controllarmi, con cortese sollecitudine e, ad oggi, non mi sono ancora tornate indietro. Dove sono? Le ha finite? Ne ho bisogno ora.”
“Direttore, mi scusi, ho quasi ultimato il controllo ma Venerdì ho avuto un problema e…”
“Lumini, io la pago per risolverli i problemi, non per crearmeli.” – m’interruppe nuovamente.

Il nervoso continuava ad aumentare, stavo per esplodere.

“Lumini, le dò tempo un’ora” – disse alzando l’indice destro – “per portarmi le mie pratiche controllate, altrimenti prenderò dei seri provvedimenti, inoltre…” – lo interruppi picchiando il mio pugno destro più forte che potevo sul suo tavolo in rovere.

“Direttore dei miei testicoli, mi ha davvero rotto le palle con le sue direttive” – mentre gli parlavo gli scaraventavo a terra, dalla scrivania, tutte le sue cianfrusaglie inutili.
“Si calmi Lumini, lei non ne ha il diritto. Io la licenzio. Io la denuncio.” – provò a tirar sù la cornetta del telefono ma non fece in tempo; lo anticipai, presi la cornetta, la strappai dal cavo ed iniziai a picchiargliela in testa. Finito con la cornetta presi la sua bella tastiera wireless ed iniziai a picchiargliela in faccia, fino a quando la barra spaziatrice, la G e la W non si staccarono. Solo dopo mi accorsi della E incastonata sul suo zigomo.
Mi sentivo meglio. Il Direttore respirava ancora, dalla porta non entrava nessuno; l’insonorizzazione delle pareti che mi fece acquistare l’anno prima funzionava davvero. Gli infilai un po’ delle sue pratiche in bocca, così non sentivo i suoi lamenti.
“Direttore, ora lei mi ascolta, altrimenti io finirò in galera, ma lei finirà a pezzi; vorrei evitare di disossarla con il taglia carte e le forbici, ok? Faccia un cenno di si con il capo e vedrà che andrà tutto per il meglio.” – l’imbecille annuì e notai che si pisciò i pantaloni.
“Bene, ora arriviamo al nostro accordo.”

“Lumini, mi sta’ ascoltando? Ha un’ora di tempo per ricontrollare tutto e stasera resterà qui a recuperare tutto il tempo perso; e la smetta di sorridere come un idiota” – mi ero fatto uno dei miei tanti viaggi mentali. Oh Dio mio, quanto vorrei spaccargliela davvero quella faccia da stronzo.

“Si Direttore. Ci vediamo tra poco Direttore.”

Mi diressi verso il mio gabbiotto pronto per continuare il mio lavoro, quando a metà corridoio sentii di nuovo la voce stridula e pesante del Direttore.

“Lumini, ho detto un’ora e ricordi bene, tra quattro mesi, le scade il contratto.”

Ecco, fu esattamente in quel momento che sentii il sangue arrivarmi al cervello; non ci vedevo più dalla rabbia, l’ennesimo ricatto psicologico. Una cosa però riuscivo a vederla, e molto bene: l’ascia nella cassetta idranti antincendio incassata a muro.

Con un pugno sfondai la lastra gialla pretagliata con su scritto “Safe Crash”, scaraventai fuori tutto il corredo idranti: manichetta, lancia, rubinetto e presi lei, l’ascia. Questa volta non era uno dei miei viaggi mentali, era la realtà; il dolore sulla mano e le escoriazioni erano reali. Tutti i colleghi erano muti, immobili, su una finestra vedevo il mio riflesso, il mio sguardo indemoniato; nella mano destra tenevo ben stretta la mia nuova amica e tornando indietro verso l’ufficio del reietto umano urlai: “Pezzo di merda, il mio contratto sarà pure a termine, ma io termino la tua vita. Adesso.

Uno dei suoi lecca piedi provò a fermarmi, ma con un colpo d’ascia divisi in due la sua bella scrivania dell’Ikea. Nessuno provò più a fermarmi. Tutti riprendevano la scena con i loro bei iPhone, Samsung, Nokia.
Il direttore chiuse la sua porta in legno, ma bastarono due colpi ben assestati: affonda, gira, rompi, ripeti.

Una volta superata la porta del mio capo, lo trovai li, in piedi dietro la sua scrivania, al telefono che chiedeva aiuto alla polizia o ai carabinieri. Con un colpo ben assestato gli ridussi il telefono in brandelli. Presi l’ascia con due mani e presentai il manico alla sua mandibola; vidi due denti partirgli fuori dalla bocca.
In un lamento unico, pieno di saliva e sangue, chiedeva scusa. Oramai era tardi, non per le scuse, ma per la mia situazione; una volta arrivate le forze dell’ordine, mi avrebbero sbattuto dentro, quindi pensai che era meglio finire il lavoro iniziato, così lo stronzo sarebbe diventato un esempio per tutti gli altri titolari sfruttatori.
“Io ti faccio a pezzi brutto sacco di putrido letame” – gli urlai in faccia. Lui, piangendo e terrorizzato se ne uscì con la classica frase che si sente nei film d’azione: “Ho una figlia, ti prego, scusami. Ti scongiuro, non ti denuncerò, troveremo una soluzione.” – “Troppo tardi” – gli risposi, e con un colpo secco gli feci saltare la mano destra poco più in alto del suo bel Daytona.
“Controlla il tempo che ti resta bastardo” – gli urlai.
Le urla furono strazianti e proprio mentre affondavo l’ascia verso l’altro braccio, sentii quell’inconfondibile odore di merda. Si era cagato addosso. Lì provai un po’ di compassione; per l’impresa di pulizie che doveva pulire tutto.

A quel punto, era ora di finirla. Gli piantai l’ascia proprio al centro del cranio. Oramai ero coperto dal suo sangue e avevo i vestiti pieni di pezzetti di carne e ossa. Assieme alle urla degli altri in ufficio, sentii arrivare di corsa i carabinieri che mi intimavano di lasciare l’arma e buttarmi a terra. Seguii tutto alla lettera; lanciai l’ascia verso la finestra e mi gettai nel vuoto. Quindici piani di vuoto. Poi il buio.
Ero in camera mia, mi svegliai di soprassalto; le sei e trenta, era quasi ora di alzarsi. Presi il mio smartphone e mandai una mail al mio capo.
Buongiorno Direttore, mi scusi ma stanotte non sono stato molto bene e ora sto peggio. Più tardi vado dal medico e l’aggiorno sulla mia situazione. Le pratiche le trova sulla mia scrivania.
Saluti.

 

2 commenti

  1. SPETTACOLO!!
    Io e Lumini siamo pure sulla stessa lunghezza d’onda 😉

    1. No ma non è autobiografico. No.
      ahahahahah

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